L’antropologia culturale testimonia la continua ricerca di Luce nel cammino dell’uomo: la simbologia della luce, spesso intesa come aspirazione umana ad una perfezione “superiore”, ha attraversato infatti tutte le civiltà. Da sempre la luce è veicolo di conoscenza, simbolo di trascendenza, rappresentazione visibile dell’invisibile.
Tale concetto è ben illustrato dall’origine del termine stesso “divinità”, la cui radice indoeuropea, deiwo, significa “emettere luce”.
Ecco che l’irradiazione diventa processo di divinizzazione, liberazione dalla materia e trasformazione in essere di luce; quindi fusione con l’Assoluto.
L’apertura alla luce, intesa come esperienza interiore, allontana le ombre della natura umana per lasciare spazio ad una più chiara visione della vita e dell’armonia che regola l’universo.
Nella serie Deiwo la luce è rappresentata da un bianco abbagliante, che unifica la totalità dello spazio, cancellando quasi completamente la percezione della corporeità.
Il bianco simboleggia il passaggio verso qualcosa di nuovo, un nuovo stato di coscienza, un processo di purificazione, superando l’ambiguità della natura umana e il dualismo insito in essa.
Tuttavia tale cambiamento di stato implica una rinuncia: l’annullamento identitario, lo svuotamento e l’adesione ad una perfezione totale ed uniformante.
L’umanità si misura quindi con i propri limiti, diviene unità di misura dello spazio e del tempo, in un solitario confronto interiore con un Assoluto che rimane apparentemente irraggiungibile.
L’accettazione dell’incompiutezza rimane forse l’unica via percorribile.
Restano macchie di umanità a contaminare una purezza idealizzata.
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